Il 6 febbraio ricorre la Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili. “Mutilazioni genitali femminili” (Female genital cutting, FGC) è il termine complessivo con cui si fa riferimento a quelle pratiche tradizionali che comportano modificazioni sui genitali femminili.
A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, l’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha elaborato una classificazione definitiva di queste pratiche, che costituiscono un fenomeno vasto e articolato. Le mutilazioni genitali femminili sono state così raccolte in quattro tipologie di operazioni, che coinvolgono in maniera differente, gli organi genitali della donna:
Escissione del prepuzio, con o senza asportazione parziale o totale della clitoride.
Escissione della clitoride con asportazione totale o parziale delle piccole labbra.
Escissione di parte o tutti i genitali esterni e sutura/restringimento dell’apertura vaginale (infibulazione).
Non classificati: tutti gli interventi sui genitali non giustificati da finalità mediche come ad esempio perforazioni, incisioni, ustioni eccetera.
A questa classificazione la stessa OMS fa seguire una rappresentazione della distribuzione geografica di queste pratiche.
La maggioranza delle bambine e delle donne che sono state sottoposte a mutilazione vivono in 28 Paesi africani. La mutilazione viene praticata da molti gruppi etnici, dalla costa orientale a quella occidentale dell'Africa, nelle zone meridionali della penisola arabica e lungo il golfo persico. Essa è in uso anche presso alcuni gruppi musulmani che vivono in India e da quelli della Malesia e dell'Indonesia.
Secondo i dati UNICEF, le MGF vengono praticate principalmente su bambine tra i 4 e i 14 anni, tuttavia, in alcuni Paesi vengono operate bambine con meno di un anno di vita, come accade nel 44% dei casi in Eritrea e nel 29% dei casi nel Mali, o persino neonate di pochi giorni (Yemen).
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